29 marzo 2011

In un altro paese


"LA MAFIA E' UNA COMPONENTE ORGANICA DEL SISTEMA DI POTERE ITALIANO"
In un altro paese è la ricostruzione storica della mafia, dalla Prima Repubblica ai giorni nostri. Uno sguardo al passato per ricordare gli uomini che resero possibile quel capolavoro giudiziario che è entrato di diritto nella storia come "maxiprocesso". Quegli uomini che si definivano "morti che camminano" e che proprio dopo le sentenze di condanna definitiva per numerosi capi della mafia, furono vergognosamente abbandonati dallo Stato al loro triste destino. Chi beneficiò di quelle morti? Chi non sarebbe dove si trova in questo momento se solo uno di loro fosse ancora vivo? Appena un anno dopo la strage di via D'Amelio, un uomo che sarà presto condannato in via definitiva per "concorso esterno in associazione mafiosa", approfittando del vuoto ideologico conseguente alla scomparsa dei magistrati GIOVANNI FALCONE e PAOLO BORSELLINO, veniva incaricato di fondare il partito dell'illegalità, di consacrare l'unione fra mafia e politica, di sviluppare quel progetto perverso che adesso non avrebbe incontrato più alcun ostacolo. Veniva alla luce così il partito della mafia, nasceva "Forza Italia". 





27 marzo 2011

Le follie della religione


Asia Bibi, madre di 5 figli, è stata arrestata nel 2009 e condannata nel 2010: la sua colpa, secondo le vicine di casa, sarebbe quella di aver insultato Maometto e di essersi rifiutata di convertirsi all'Islam. Il caso si è trasformato in una questione internazionale quando la proposta di modificare la legge sulla blasfemia sull'onda della sua vicenda, ha generato un'ondata di violenze in Pakistan: una rabbia culminata negli assassinii, a gennaio e marzo, del governatore del Punjab Salmaar Tasmeer e del ministro delle Minoranze religiose Shahbaz Bhatti, che si erano battuti per la modifica (LaRepubblica.it). La cosiddetta “legge sulla blasfemia” (gli articoli 295b e 295c del Codice Penale del Pakistan) viene continuamente utilizzata per vendette o interessi personali, che nulla hanno a che vedere con l’offesa alla religione. La legge fu promulgata unilateralmente dal generale Zia-ul-Haq nel 1986, e mai approvata da alcun Parlamento. A farne le spese sono stati, in 25 anni, circa 1.000 cittadini pakistani, incriminati e arrestati ingiustamente: fra loro 479 musulmani, 340 ahmadi, 119 cristiani e altri appartenenti a minoranze religiose come indù e sikh. Inoltre ben 33 persone, sotto processo per blasfemia o assolte dalle accuse, sono state vittime di esecuzioni extragiudiziali.

24 marzo 2011

La via dell'uranio


L'estrazione di uranio dalle miniere di Areva, il gigante dell'energia nucleare, sta mettendo in serio pericolo la popolazione del Niger. Areva è la società che possiede la tecnologia dell'EPR, le centrali che il governo vuole costruire in Italia. In collaborazione con il laboratorio francese indipendente CRIIRAD e la rete di ONG ROTAB, abbiamo realizzato un monitoraggio della radioattività di acqua, aria e terra intorno alle cittadine di Arlit e Akokan, a pochi chilometri dalle miniere di Areva, accertando che i livelli di contaminazione sono altissimi. La radioattività crea più povertà perché causa molte vittime. Ogni giorno che passa la popolazione locale è esposta alle radiazioni, circondata da aria avvelenata, terra e acqua inquinate. E intanto Areva fattura centinaia di milioni di dollari, sfruttando le risorse naturali di uno dei paesi più poveri dell'Africa. La Francia è la prima nazione nucleare. Dispone di 19 centrali con 58 reattori, nel 2009 l'energia nucleare ha generato il 75.17% del suo fabbisogno di energia elettrica, la prima al mondo, le altre nazioni arrivano al massimo al 30%. Possiede un modello di sviluppo basato sul nucleare bellico strettamente connesso a quello civile, un modello mantenuto in vita grazie alle tasse dei francesi e all'approvvigionamento dell'uranio dal Niger da parte della società statale Areva.

23 marzo 2011

Io sono Gerusalemme


L'area di confine tra Israele e la striscia di Gaza è da alcuni giorni teatro di una forte recrudescenza degli scambi a fuoco tra israeliani e palestinesi. I primi, che hanno compiuto nella notte fra il 21 ed il 22 marzo cinque raid aerei contro diversi obiettivi ("siti per la produzione e lo stoccaggio di armi" e due "siti terroristici"), hanno aperto ieri il fuoco contro militanti palestinesi che volevano lanciare missili anti tank ai soldati oltre confine. Sono almeno quattro i morti nella città di Gaza, due dei quali bambini, dopo che un carro armato israeliano ha colpito una casa ferendo altre otto persone. Nel primo pomeriggio di oggi, una forte esplosione devasta una fermata d'autobus delle linee 74 e 14 a Gerusalemme, in un momento della giornata in cui i mezzi pubblici sono normalmente molto affollati. Alla fermata erano appena giunti mezzi di entrambe le linee. I media israeliani riportano la morte di una donna, inserita inizialmente nel bilancio di 31 feriti diffuso qualche ora dopo l'attentato dal capo della polizia, Aaron Franco. La zona dell'esplosione è di fronte alla stazione centrale e nei pressi di un centro internazionale per conferenze, nella downtown di Gerusalemme. L'azione terroristica non è ancora stata rivendicata. L'ultimo attentato a Gerusalemme risaliva al 6 marzo del 2008, quando un palestinese aveva attaccato un istituto di studi sul Talmud, testo sacro dell'Ebraismo, nella parte ovest della città, causando otto morti e nove feriti, prima di essere a sua volta ucciso.
Approfondimenti:
Per uno solo dei miei due occhi (Documentario)
Paradise Now (Film)

19 marzo 2011

La guerra siamo noi


Sono contro la guerra, è ovvio. Persino un bambino capirebbe senza sforzo alcuno l'assurdità della guerra. E allora perchè dentro di me e immagino anche dentro il cuore di altri pacifisti, germoglia un sentimento di timida soddisfazione alla notizia che da adesso i ribelli libici non saranno più soli? me lo chiedo ripetutamente da ieri e sono giunto ad alcune considerazioni. Innanzi tutto perchè siamo stati più volte delusi dall'inadeguatezza delle Nazioni Unite. Abbiamo assistito inermi alle stragi in Ruanda (dove l'ONU pur di non intervenire rifiutò di riconoscere il carattere di genocidio), ai bombardamenti della NATO sul Kosovo (la guerra non ebbe mai il consenso delle Nazioni Unite per i voti contrari di Cina e Russia), fino a permettere  una guerra in Iraq totalmente inventata dal nulla, i responsabili della quale (Bush e Blair per esempio) non verranno mai processati per le loro menzogne. A nessun pacifista verrebbe mai in mente come opzione possibile per la risoluzione di un conflitto, il bombardamento di una delle due parti ed allora perchè in alcuni nascono perplessità? Prima di tutto i fatti. Gheddafi è un dittatore come altri, ne più ne meno. Ormai da tempo pur di impedire gli sbarchi di clandestini in Italia (per gli accordi che tutti conoscono) amministra sul suo territorio autentici campi di concentramento nei quali viene praticata  la compravendita di esseri umani. La guerra in Libia non è una guerra civile, i militanti di Gheddafi sono spietati mercenari assoldati per seminare il terrore fra la popolazione, evidente conseguenza di quello che può accadere quando si permette ad un uomo di accumulare ricchezze sconfinate (ogni riferimento è assolutamente voluto). Inoltre, è la popolazione stessa minacciata di annientamento che si è rivolta alle potenze occidentali per ottenerne il sostegno. L'ONU non è certo tenuta, ci mancherebbe, a soddisfare il desiderio degli insorti di consegnargli la testa del dittatore (come è stato chiesto), ma in qualche modo, se non aspirava a ripetere gli errori commessi in Ruanda e ritrovarsi nuovamente addosso l'ira del mondo democratico, doveva reagire. E le Nazioni Unite si sa, reagiscono con il loro braccio armato guidato dagli Stati Uniti, il resto del copione si può immaginare. Ma che responsabilità ha l'Italia in tutto questo? Invece di perdere tempo prezioso a chiedersi perchè fosse alleato con un dittatore sanguinario per esempio, il governo italiano avrebbe potuto precedere le risoluzioni dell'ONU offrendo appoggio umanitario agli insorti, visto che non occorrono accordi internazionali per trasportare cibo e medicine. Ma per un governo che doveva da una parte rassicurare il suo vecchio alleato della sua neutralità e dall'altra salvare la faccia con l'opinione pubblica questo non era ovviamente possibile. Meno male che quando il gioco si fa duro interviene la Chiesa, rappresentata dall'audace cardinal Bagnasco, che con una dichiarazione illuminante:  "speriamo che si svolga tutto rapidamente" ricorda la canzone di Francesco De Gregori "Gesù bambino": "fa che sia breve (la guerra) come un fiocco di neve e fa che si porti via la mala morte e la malattia". Dicendo ciò non cerco assolutamente di giustificare la guerra in Libia. Come ha saggiamente scritto Orwell "Non si tratta di stabilire se la guerra sia legittima o se invece non lo sia. La vittoria non è possibile. La guerra non è fatta per essere vinta, è fatta per non finire mai". Quello che desidero a conclusione di questo post è esprimere il disagio di chi ha provato come me quasi commozione vedendo la gente in festa dopo la notizia dell'approvazione della risoluzione delle Nazioni Unite a favore degli insorti. Non significa essere a favore della guerra in Libia, è solo un illegittimo pizzico di solidarietà (che sarà prontamente disilluso in ogni caso) nei confronti di un popolo coraggioso che lotta per la sopravvivenza. Ma la realtà è ben più cruda ed ha tanto il sapore dell'ennesima sconfitta subita dal genere umano. Per un attimo alcuni di noi hanno pensato: "finalmente l'ONU comincia a fare il suo lavoro", e l'attimo seguente già giungeva notizia di centinaia di missili lanciati contro carri armati "volanti" che stavano violando la "no fly zone". Il mondo intero rimase sconvolto di fronte all'indifferenza generale che caratterizzò il genocidio in Ruanda. Un Paese la cui unica colpa consisteva nel non essere ricco di gas e petrolio. Presumo quindi che questo sentimento di rivalsa nei confronti dell'immobilismo a cui siamo stati da sempre abituati, nasca dalla avvilente consapevolezza dell'incapacità o della non volontà da parte delle Nazioni Unite, di rendere inoffensivo (senza ricorrere ad una guerra) un pericoloso dittatore che fino a poco tempo fa veniva ricevuto con tutti gli onori. Un sentimento di rivalsa che è durato poco, il tempo di sapere che il primo missile era stato lanciato, e già mi sentivo tristemente pentito.





18 marzo 2011

Tensione anche in Medio Oriente


Mentre i riflettori sono puntati sulla Libia e sulle possibili conseguenze di un'azione di forza connessa con la risoluzione dell'Onu sulla tutela sella popolazione, la situazione è particolarmente tesa anche in altre aree del Nord-Africa e del Medio Oriente. Quarantuno manifestanti scesi in piazza nella capitale per chiedere la caduta del presidente Ali Abdallah Saleh, al potere da 32 anni, sono rimasti uccisi a Sanaa nello stato della Yemen durante gli scontri con la polizia. In Siria una manifestazione pacifica di decine di siriani è stata invece dispersa in mattinata dalle forze di sicurezza a Damasco, nei pressi della Grande moschea degli Omayydadi, nel cuore della città vecchia. Su Internet è stata indetta per oggi una mobilitazione «per la libertà» contro il regime baathista al potere da quasi mezzo secolo. Altro scenario quello del Bahrein, dove i manifestanti hanno invitato la popolazione a scendere in strada oggi per chiedere la deposizione della dinastia Al Khalifa, minoranza sunnita che domina un Paese a maggioranza sciita da circa due secoli, e per protestare contro gli «occupanti» (le truppe saudite e degli emirati sbarcate nel paese). In Arabia Saudita, dove re Abdallah ha deciso di adottare una strategia improntata sulla trattativa e non sulla repressione, i rappresentanti dell'opposizione hanno indetto la "marcia di un milione di persone" sfidando il bando sulle proteste di piazza. Oggi chiederanno al proprio esecutivo di ritarare le truppe dal Bahrein (Corriere della sera-Repubblica.it)

16 marzo 2011

I sacrificati di Fukushima


“Noi restiamo nella centrale”. Sanno benissimo a che cosa vanno incontro: saranno contaminati dalle radiazioni. E poi ci sono le esplosioni che da un momento all’altro potrebbero spazzarli via. Però rimangono, a lottare contro i sei reattori impazziti. Sono i cinquanta tecnici della Tepco che si sono offerti di restare per scongiurare la fusione, la catastrofe per il Giappone. Una volta entrati a Fukushima I, tornare indietro è impossibile. Il corpo in poche ore assorbirà più radiazioni che in anni e anni. Chi resta lo fa dimenticando se stesso. Lo fa per la propria famiglia e il Giappone devastato. Come gli elicotteristi di Chernobyl: erano aviatori impegnati sul fronte afghano, ottennero di tornare in patria in cambio di questa missione. Scaricarono dal cielo tonnellate di cemento per coprire il nucleo. Ci riuscirono, ma dopo sofferenze atroci morirono tutti. I tecnici Tepco, però, hanno scelto liberamente. Indossano tuta bianca e respiratore, ma più che per proteggersi lo fanno per la disciplina che non riescono a scrollarsi di dosso. Di fronte a una fusione a pochi passi, sono nudi. È come una nave che affonda, ma l’equipaggio non l’abbandona. Le famiglie da lontano possono solo guardare le immagini alla televisione. I teleobiettivi inquadrano quei puntini bianchi che si muovono senza sosta tra i reattori (Il Fatto quotidiano).

15 marzo 2011

Ripartire da zero


L'incidente ai reattori giapponesi di Fukushima, sta avendo un effetto collaterale imprevisto in Europa, assestando un duro colpo al preteso «rinascimento nucleare», prospettato dall'industria dell'atomo. In realtà, in Europa gli investimenti nel settore languono da tempo, e non si sono mai veramente ripresi dopo il disastro di Chernobyl, nel 1986. In tutta l'Ue, in questo momento ci sono solo tre nuove centrali in costruzione, una in Francia (a Flamanville), una in Finlandia (a Olkiluoto) e una in Slovacchia (Bohunice). L'industria dell'atomo conterebbe poi sul ripensamento dei governi tedesco e belga, e di quello svedese, che negli anni scorsi avevano deciso tutti il cosiddetto «phasing out» (l'uscita graduale dal nucleare, con la chiusura delle centrali a fine ciclo senza rimpiazzarle con nuovi reattori).
Secondo il ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani, «è inimmaginabile tornare indietro su un percorso già attivato», visto che «tutti i paesi europei hanno centrali il 19% dell'energia che consumiamo in Italia è prodotta dal nucleare». Sulla questione è tornata anche il ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo, specificando che «il governo non è né cieco né sordo rispetto alle notizie che giungono da Tokyo, ed è evidente che la nostra scelta di rientrare nel nucleare ci induce ulteriore attenzione, assieme all'esigenza di una piena trasparenza su quanto sta accadendo» (Corriere della Sera.it).


10 marzo 2011

Sangue e cemento


Sangue e cemento ripercorre cause recenti e responsabilità remote di chi ha costruito male per risparmiare sui materiali e sulle tecniche, di chi doveva controllare, ma non lo ha fatto, degli amministratori che hanno favorito la speculazione a discapito della sicurezza dei cittadini, che hanno pagato un prezzo di 299 vittime. Interviste e testimonianze a sismologi, geologi, tecnici del territorio e delle costruzioni, avvocati e giudici arricchiscono questo film-documento che è stato realizzato dal Gruppo Zero, un collettivo di giornalisti, cineasti e comunicatori che producono documentari d'inchiesta per un'informazione corretta e libera da manipolazione. Paolo Calabresi, il narratore che ci prende per mano e accompagna nell'indagine, mette subito sul tavolo la verità incontrovertibile della differenza tra il terremoto abruzzese e quello giapponese del 19 luglio 2008; dati alla mano, confronta intensità, feriti, morti, sfollati, edifici inagibili e la sentenza è davanti agli occhi: entrambi inevitabili, non è stato però il terremoto ad uccidere 299 persone in Abruzzo, dato che il sisma giapponese non provocò vittime. Questa è la tesi da dimostrare: è stata una catastrofe umana, non naturale.