L'incidente ai reattori giapponesi di Fukushima, sta avendo un effetto collaterale imprevisto in Europa, assestando un duro colpo al preteso «rinascimento nucleare», prospettato dall'industria dell'atomo. In realtà, in Europa gli investimenti nel settore languono da tempo, e non si sono mai veramente ripresi dopo il disastro di Chernobyl, nel 1986. In tutta l'Ue, in questo momento ci sono solo tre nuove centrali in costruzione, una in Francia (a Flamanville), una in Finlandia (a Olkiluoto) e una in Slovacchia (Bohunice). L'industria dell'atomo conterebbe poi sul ripensamento dei governi tedesco e belga, e di quello svedese, che negli anni scorsi avevano deciso tutti il cosiddetto «phasing out» (l'uscita graduale dal nucleare, con la chiusura delle centrali a fine ciclo senza rimpiazzarle con nuovi reattori).
Secondo il ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani, «è inimmaginabile tornare indietro su un percorso già attivato», visto che «tutti i paesi europei hanno centrali il 19% dell'energia che consumiamo in Italia è prodotta dal nucleare». Sulla questione è tornata anche il ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo, specificando che «il governo non è né cieco né sordo rispetto alle notizie che giungono da Tokyo, ed è evidente che la nostra scelta di rientrare nel nucleare ci induce ulteriore attenzione, assieme all'esigenza di una piena trasparenza su quanto sta accadendo» (Corriere della Sera.it).
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