29 luglio 2012

Meritocrazia, I love you (ultimo atto)


....Come sottolinea Nadia Urbinati, nessuno sembra soffermarsi abbastanza sulla dimensione sociale del merito, sul suo dipendere profondamente dal riconoscimento pubblico e di conseguenza sulla sua assoluta carenza di neutralitá. “Se si partisse dal presupposto generale che un alto reddito costituisce la prova del merito e un basso reddito il contrario, e universalmente vi si ritenesse che la posizione e la remunerazione corrispondono al merito, e unica strada aperta per il successo fosse l’approvazione della propria condotta da parte della maggioranza dei propri simili, la società sarebbe molto probabilmente più insopportabile per chi non ha successo di quanto lo è quando si riconosce francamente che tra merito e risultato non esiste una necessaria connessione” (Friedrick Hayek). 
Bruno Trentin, in un denso e lucido articolo (A proposito di merito) evidenzia come il concetto di merito sia sinonimo di obbedienza e dovere, perché presuppone una legittimazione discrezionale da parte di qualcuno che occupa una posizione gerarchica superiore, o esercita un potere politico (in sostituzione della formazione e dell'educazione). Trentin rivendica il primato della conoscenza sul merito. Solo il sapere rappresenta un criterio equo di selezione del valore individuale, e quindi occorre renderlo disponibile per tutti. "Il ricorso al merito" ridimensionando ogni valutazione fondata sulla conoscenza, valorizza invece, come fattori determinanti, criteri come quelli della fedeltà, della lealtà nei confronti del superiore, di obbedienza. Non è questa la ragione per la quale è così difficile che un esterno vinca una competizione nell’accademia italiana? L’uguaglianza di opportunità di cui parla Young è qualcosa di molto diverso dall’uguaglianza formale, baluardo della cultura del merito: è l’ideale irrinunciabile dell’uguaglianza sostanziale dei punti di partenza, ossia il principio in virtù del quale la ricchezza alla nascita di ogni individuo dovrebbe essere eguagliata il più possibile. “Il bambino, ogni bambino, è un individuo prezioso, e non soltanto un potenziale funzionario della società. Le scuole non debbono limitarsi a fornire individui idonei a svolgere le mansioni considerate importanti in un particolare momento, ma debbono dedicarsi a incoraggiare lo sviluppo di tutte le qualità umane, siano o non siano queste del tipo richiesto da un mondo scientifico.  Alle arti e alle abilità manuali deve esser dato altrettanto risalto che alla scienza e alla tecnologia”
Uguaglianza delle opportunità non deve significare eguali opportunità di salire lungo la scala sociale, ma eguali opportunità per tutte le persone, a prescindere dalla loro “intelligenza”, di sviluppare le virtú e i talenti di cui sono dotate, tutte le loro capacità di apprezzare la bellezza e la profondità dell’esperienza umana, tutte le loro facoltà di vivere una vita piena”.  
Per concludere:
“La società senza classi sarà quella che avrà in sé e agirà secondo una pluralità di valori. Giacché se noi valutassimo le persone non solo per la loro intelligenza e cultura, per la loro occupazione e il loro potere, ma anche per la loro bontà e il loro coraggio, per la loro fantasia e sensibilità, la loro amorevolezza e generosità, le classi non potrebbero più esistere. Chi si sentirebbe più di sostenere che lo scienziato è superiore al facchino che ha ammirevoli qualità di padre, che il funzionario statale straordinariamente capace a guadagnare premi è superiore al camionista capace a far crescere rose? La società senza classi sarà anche la società tollerante, in cui le differenze individuali verranno attivamente incoraggiate e non solo passivamente tollerate, in cui finalmente verrà dato il suo pieno significato alla dignità dell’uomo. Ogni essere umano avrà quindi eguali opportunità non di salire nel mondo alla luce di una qualche misura matematica, ma di sviluppare le sue particolari capacità per vivere una vita ricca” (Young 1958).
Fonti utilizzate:

28 luglio 2012

Meritocrazia, I love you 2 (venditori di fumo)


....Esiste anche un interessante problema di prospettiva. Chi ha avuto successo tende a pensare che il modo con cui l’ha ottenuto sia merito. E perciò che meritocrazia voglia dire premiare e promuovere i suoi simili. Michael Young stesso ha espresso nel 2001 sul Guardian tutto il suo disappunto verso quella che chiamava la business meritocracy: “Se i meritocratici credono che l’avanzamento derivi dai loro meriti”, scriveva Young, “penseranno di meritare tutto quello che possono ottenere”. Illusione che viene rinforzata dalla moltitudine di cortigiani, seguaci e profittatori di cui spesso sono circondati. Il risultato é la formazione di una nuova classe sociale, una nuova élite moralmente autolegittimata. Insomma il concetto di “meritocrazia” è discutibile, e può essere interpretato in modi molto diversi. Quello che sorprende è che, nato come perplessità, si sia poi diffuso in senso decisamente positivo. Roger Abravanel nel suo famoso libro "Meritocrazia" (musa ispiratrice delle meraviglie dell'ex ministro dell'istruzione che evito per decenza di nominare) definisce la meritocrazia come “un sistema di valori che valorizza l’eccellenza indipendentemente dalla provenienza”. L’assunto di partenza è che in un sistema meritocratico lo stato non abbia bisogno di intervenire e garantire le stesse opportunità, poiché il successo dei migliori è garantito automaticamente dalla competitività del sistema. I fautori del pensiero meritocratico all’italiana (e sostenitori probabilmente inconsapevoli delle tesi di Abravanel) sono certi che eccellenza e competitività siano l’antidoto all’iniquità del sistema italiano e il meccanismo per garantire giustizia sociale. Questo equivale ad affermare che pur di assicurare l'avanzamento dei migliori si é disposti a sacrificare l'equitá dell'intero sistema che tradotto nel linguaggio politico italiano significa mantenere il pieno controllo delle nomine piú prestigiose (attraverso criteri meritocratici del tutto personali e stabiliti di volta in volta a seconda dei candidati) a scapito della trasparenza. In poche parole, il fine giustifica i mezzi. Siamo quindi giunti al fatidico interrogativo: “Cos’è più importante l’uguaglianza delle opportunità o il risultato finale?
Questa interpretazione della meritocrazia infatti, non affronta le contraddizioni tra garantire il ‘meglio per i migliori’ e provvedere al ‘meglio per tutti’. La cosiddetta ‘Riforma Gelmini’, prodotto della consulenza diretta di Abravanel, fa ampio riferimento alla cultura del merito e istituisce con l’articolo 4 un "fondo di merito". Tale fondo, dedicato agli studenti più meritevoli, è alimentato da privati, ma anche da risorse statali provenienti dal diritto allo studio. Scrive Friedrick Hayek premio Nobel per l'economia nel 1974: “i premi che una società libera offre per i risultati conseguiti servono a dire a chi lotta per essi quali sforzi valga la pena di fare. Tuttavia, gli stessi premi andranno a chiunque produca gli stessi risultati, senza tener conto dello sforzo” (e di come vengano ottenuti i risultati). I teorici moderni della giustizia hanno sempre diffidato del criterio del merito se usato per distribuire risorse. Non perché pensano che ad essere assunto in un ospedale non debba essere un bravo medico, ma perché mettono in guardia dallo scambiare l’effetto con la causa: è l´eguaglianza di trattamento e di opportunità il principio che deve governare la giustizia non il merito, il quale semmai è una conseguenza di un ordine sociale giusto. Per non essere privilegio truffaldino, il merito deve sprigionare da una società nella quale a tutti dovrebbe essere concessa un’eguale possibilità di formarsi competenze e accedere ai beni primari (diritti civili e diritti sociali essenziali) per poter partecipare alla gara della vita. Continua....