27 febbraio 2011

Così l'Italia ha armato le milizie del rais

Ambasciata libica a Roma

Anche quando tutto sarà finito, una pagina del massacro libico non potrà comunque essere cancellata. Né dalle doppiezze della diplomazia occidentale, né dal suo cinismo, né da tardive prese d'atto, né da nuovi embarghi a eccidio ormai consumato. Quella pagina racconta che a Tripoli, Bengasi, Tobruk, il sangue degli insorti è stato e continuerà ad essere versato da armi di fabbricazione europea e russa accatastate con frenesia in questi ultimi sei anni negli arsenali del regime. Che in Tripolitania e Cirenaica, i bossoli di proiettile lasciati a migliaia sul terreno dalle armi automatiche di mercenari e milizie governative hanno inciso sul fondello matrici che ne indicano la fabbricazione italiana, inglese, belga, russa. "L'amicizia" con il colonnello ha fatto dell'Italia la prima esportatrice di armi dell'Unione verso la Libia. Tra il 2008 e il 2009, 205 milioni di euro. Più di un terzo dell'intero volume di esportazioni belliche europee verso il regime (595 milioni, il totale). Una volta il valore delle armi vendute dai francesi (143 milioni). Tre volte quello di Malta (80 milioni). Cinque volte quello della Germania (57 milioni) e della Gran Bretagna (53 milioni). Dieci volte l'export portoghese (21 milioni). Nel 2004 il colonnello dichiara pubblicamente di aver abbandonato il programma per la realizzazione di armi chimiche di distruzione di massa e di essere per questo in diritto di tradurre questa "rinuncia" in un libero accesso al catalogo delle armi convenzionali. Non c'è dunque azienda di armamenti e governo europeo che, di fronte alla contrazione dei mercati europei, non vedano nel raìs un'opportunità da stropicciarsi gli occhi. Nel 2008, come documentano le statistiche di "Archivio disarmo", la spesa libica per sistemi d'arma o comunque componenti belliche ha già raggiunto 1 miliardo e 100 milioni di dollari. Ed è destinata, nei due anni successivi, a impennarsi ulteriormente. L'Italia, che ha ufficialmente salutato la fine dell'embargo sulle forniture belliche come uno "straordinario successo" diplomatico, di cui rivendica il merito in sede europea, comprende infatti che può ritagliarsene una fetta importante. Nei giorni scorsi, di fronte a un'opinione pubblica inorridita, il Belgio ha giustificato i migliaia di bossoli calibro 7,62 ritrovati sulle piste dell'aeroporto di La Abrag a El Beida prodotti dalla "Fn Herstal" come una "fornitura destinata alla scorta di aiuti militari in Darfur". Il 17 febbraio, la Francia ha annunciato il congelamento delle commesse al Regime, seguita dall'Inghilterra. La nostra diplomazia e i nostri ministri (Frattini e La Russa) hanno laconicamente annunciato che l'Italia "si adeguerà alle sanzioni decise dall'Unione" (La Repubblica.it).

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